Sri Ramakrishna e San Francesco d'Assisi
Questo libro è la traduzione di "Sri Ramakrishna e San Francesco d'Assisi", di Sorella Devamata, pubblicato dall'Ananda Ashrama of Cohasset Massachussets, e da La Crescenta, California, USA. Il Centro Vedantico Ramakrishna è riconoscente all'Ananda Ashrama di avergli dato l'autorizzazione di tradurre questo libro e di pubblicarlo in francese.
"Sri Ramakrishna e San Francesco d'Assisi" è stato un libro favorito dagli amici del Vedanta sin dalla sua prima pubblicazione, avvenuta circa cinquant'anni fa. Essi amano la descrizione naturale che offre della vita e dell'insegnamento di questi due individui, che ad altro non erano tesi se non a Dio.
L'autrice, un'americana, conobbe Swami Vivekananda negli Stati Uniti, alla fine dell'ultimo secolo e stabilì subito anche uno stretto contatto con un secondo discepolo di Sri Ramakrishna: lo Swami Abhedananda. Quando lo Swami Paramananda, un discepolo di Swami Vivekananda, si recò negli Sati Uniti, per iniziare quell'attività che avrebbe proseguito sino alla sua morte, nel 1940, Sorella Devamata divenne la sua allieva. Costei trascorse la sua vita come membro della comunita' che questi fondò. Fu, per numerosi anni, l'editrice della "Voice of India" e l'autrice di numerosi libri, tra cui "Days in an Indian Monastery": uno scritto che rivela gli stretti contatti che ella ebbe in India, all'inizio di questo secolo, con Sri Sarada Devi, Swami Brahmananda e Swami Ramakrichanananda.
I - Introduzione
Per l'intera durata della mia vita sono stata una pellegrina. Mi sono inchinata davanti a numerose tombe, ho pregato davanti a molti altari, mi sono prosternata in tanti templi. Nel ricordo dei miei numerosi pellegrinaggi, due di essi risplendono nella mia memoria con una particolare vivacità. Quello di Calcutta, nel tempio di Dakshnineswar - la terra che venne santificata dalle stesse traccie di Sri Ramakrishna. L'atmosfera è talmente impregnata della sua presenza, che le foglie degli alberi e il vicino fiume sembrano ancora mormorarne il nome. Ero molto consapevole di questa presenza quando mi recai nel tempio-giardino. Là, mi sedetti sotto il banyan (n.d.t.: specie di fico indiano), ove Ramakrishna ricevette la visione dell'eternità. Avanzavo, scalza, attraverso i rovi, verso l'albero ai piedi del quale egli si era rifugiato per inoltrarsi ancora nella profonda solitudine; mi inchinai anche davanti all'immagine della Grande Madre dell'Universo, proprio lì dove lui aveva l'abitudine di adorarLa. Mi attardai nella stanza dove egli aveva l'abitudine di insegnare e dove, pure, era vissuto.
Andai anche in pellegrinaggio in altre località; a Kankurgachi, ove una stele ed un giardino sono consacrati alla sua memoria; al giardino di Kossipur, ove egli visse gli ultimi anni sulla terra*; infine, nel luogo, pieno di pace ed ombreggiato, accanto al Gange, in cui il suo corpo venne ridotto in cenere, ed al monastero principale dell'Ordine, situato sul Gange, alla parte nord di Calcutta, nel quale le sue ceneri sono piamente conservate. Vedevo quotidianamente i discepoli che lo avevano servito; conobbi coloro che, a loro volta, erano vissuti con lui; oppure, loro conoscevano me. Visitavo le case che egli aveva frequentato. Vissi, giorno dopo giorno, accanto a Sarada Devi, la sua legittima compagna; ma, solo sposa spirituale. Questo pellegrinaggio durò dei mesi e, con il trascorrere del tempo, mi resi sempre più conto della grandezza spirituale di colui per il quale io ero pellegrina.
L'altro pellegrinaggio, compiuto anteriormente, e che, anch'esso, risplende nella, mia memoria, fu Assisi. Ero fuggita dalla folla irrequieta e rumorosa della Settimana Santa, a Roma. Raggiunsi Assisi proprio nel momento dell'ultimo servizio religioso e della benedizione pasquale. Sbucando dalla grande piazza cittadina, una chiesa con un colonnato - che era stato, nel passato, un tempio romano - si erse davanti a me. Attraverso i suoi larghi portali aperti potevo scorgere l'altare principale, illuminato da centinaia di ceri e, davanti ad esso, i preti, riccamente paludati, mentre intonavano il Sacro Uffizio. Al di fuori, la strada era piena di modesti paesani, venuti da ogni contrada per assistere alla Cerimonia. Quando eccheggiò il richiamo all'Elevazione - per tre volte, ad annunciare la discesa dello Spirito santo - ognuno di essi cadde in ginocchio, battendosi il petto, ed esclamando "peccavi, peccavi, peccavi". E ciò era tanto sincero da spingere a credere alla glorificazione del pentimento. Infine, un'onda musicale, proveniente dagli organi del coro, inondò l'intera piazza; e, così, terminò il giorno della Pasqua.
Ritornai in albergo. Che si trovava adiacente al Monastero ed alla Chiesa di San Francesco, di sorta che pareva accomunarsi alla loro atmosfera conventuale. Vi trovai solo otto occupanti e, tra di essi, Paul Sabatier, l'autore della biografia "più autentica" di San Francesco. Io l'avevo letta più di una volta. Il fatto riuscì a creare un legame tra di noi, e divenimmo buoni amici. Egli mi raccontò molti ed interessanti fatti avvenuti durante le sue ricerche. Quando il governo aveva sottratto il monastero ai monaci francescani, la loro ricca biblioteca era stata gettata, alla rifusa, nelle due sale non occupate del municipio. M. Sabatier era, a quei tempi, una delle poche persone che vi avevano libero accesso; e, di conseguenza, mi narrò quanto, allora, aveva scoperto: un pregevole scritto in latino, di una santa suora, che, di sicuro, si sarebbe potuta trovare a S. Damiano, al tempo di San Francesco!
Il secondo giorno, al mattino presto, fui svegliata da alcuni canti e cantici. Mi affacciai alla finestra e vidi un gruppo di pellegrini, che scalavano la dura china, con dei ceri illuminati e, in testa al gruppo, un prete, che sorreggeva un crocefisso. Ogni mattino della Settimana Santa di Pasqua, altri simili gruppi di paesani delle pianure circostanti salivano quei rudi sentieri, cantando. Io mi unii ad essi, per andare in ogni luogo santificato da San Francesco. Ci inginocchiammo là dov'egli aveva pregato; stemmo dove predicò; ci inchinammo, dov'è seppellito. Questo pellegrinaggio ad Assisi durò solo quindici giorni; ma, creò in me una forte esaltazione religiosa.
Vorrei riunire questi due pellegrinaggi, in uno solo. Questo desiderio mi nacque nel santuario, durante l'ora delle preghiera, e, tramite la preghiera, si è concluso. Non esiste - certo - una volontà di paragone, accostanto questi due Grandi Individui. La mia speranza è che, facendolo, coloro che amano l'Uno riescano a conoscere l'Altro. Ed un nuovo anello riunirà l'Oriente all'Occidente e l'Occidente all'Oriente.