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Ramakrishna

Il tempo stava diventando sempre più freddo, indicando l’avvicinarsi dell’inverno. Era il crepuscolo e, dopo il servizio serale, i monaci ed i novizi del monastero si dedicarono alla meditazione. Un'indescrivibile pace e serenità si diffuse ovunque.

Il silenzio pervadeva la stanza di Mahapurushji dove risplendeva una luce verde. Mahapurushji era seduto con le gambe incrociate rivolto ad occidente, assorbito in meditazione.

Un attendente stava facendo dolcemente vento allo Swami per scacciare le zanzare. Il tempo trascorse in questo modo e gradualmente il silenzio nella stanza si fece più profondo. L’espressione serena di Mahapurushji diventò sempre più raggiante. Come al solito i monaci vennero nella sua stanza e, trovandolo assorbito in meditazione, lo salutarono da lontano ed uscirono.

Erano le nove di sera, ma ancora lo Swami non discendeva dalla sua meditazione ad un livello [di coscienza] normale. Dopo un po’, Mahapurushji cantò sommessamente “Om” e quindi ripeté più distintamente “Hari Om”. Chiese che ora fosse e l’attendente rispose, a voce bassa, che erano già le nove.

Mahapurushji: «È già suonata la campana per l’offerta di cibo al Maestro?».

Attendente: «Da un bel po’, è da parecchio tempo che il cibo è stato portato al tempio ed è quasi ora di riportare indietro il cibo offerto».

L'attendente non era contento di vedere Mahapurushji meditare così a lungo perchè c'era una speciale disposizione dei medici di non lasciarlo praticare troppo in quanto la sua salute avrebbe potuto essere danneggiata. L’attendente perciò si fece coraggio e chiese: «Che bisogno avete di meditare così tanto? Voi potete vedere il Maestro con gli occhi aperti e parlare con lui!».

Con molto affetto, Mahapurushji rispose: «Sì, ragazzo mio, hai ragione. Senza alcuno sforzo da parte nostra, il Maestro ci appare benevolmente e, se necessario, ci parla anche. Il Maestro, la Madre Santa, Swamiji [Vivekananda] e gli altri sono tutti molto benevoli.

Non c’è dubbio su questo, non dobbiamo meditare per vedere il Maestro. Io non medito per quello scopo, ma per quest'altro: molti prendono l’iniziazione da me, ma non tutti mantengono la loro pratica spirituale, ci sono anche altri che, sebbene continuino la loro pratica, non fanno molti progressi a causa di certi ostacoli nella loro vita individuale. Per essi devo pregare separatamente. Quando mi concentro un po’ le loro facce balenano attraverso la mia mente e prego per loro singolarmente. Devo rimuovere gli ostacoli che sono sulla strada del loro progresso spirituale, inoltre, molti hanno prove e problemi in questo mondo, perciò devo aiutarli anche a questo riguardo. È il Maestro, che ci ispira da dentro, a fare queste cose. In questo mondo non c’è fine a prove e problemi, perciò la nostra unica preghiera è che ci possa essere pace nel mondo intero e una diminuzione di angoscia e dolore, e che gli uomini possano avanzare verso Dio. Nessuna pratica spirituale viene svolta per noi stessi, ragazzo mio».

Ogni parola di Mahapurushji rivelava la sincerità del suo cuore e il suo amore scorreva come l'acqua in una fontana.

Con voce tremante, disse: «È Colui che ci ha creato a fare tutte queste cose. Quell’amato Signore, seduto all’interno, sta giocando vari ruoli. Io faccio e dico quello che Lui mi spinge a fare, sono semplicemente un ordinario strumento nelle Sue mani, uno strumento rotto, ma Lui è un eccellente suonatore; può vincere il gioco anche con un dado rotto ed è quello che sta facendo. Altrimenti, dimmi, quale potere avrei? Non ho né erudizione, né il dono di saper parlare, né altro, e nemmeno sono bello da guardare. Vecchio e debole nel corpo, non posso nemmeno scendere le scale e, tuttavia Lui, si sta occupando del Suo lavoro. Quanta gente viene da noi! Difficilmente riesco a parlare con tutti quelli che vengono. Mi viene detto: “Potete anche non parlare, soltanto vedendovi, le afflizioni dei nostri cuori sono alleviate e tutti i nostri dubbi svaniscono”.

Io non so niente, sia gloria a Te, o Signore, il Tuo nome sia benedetto. Chi può capire la Tua gloria? Sono sorpreso dalle azioni del Signore, in quanti modi sta operando dentro questo corpo! A chi lo devo svelare e chi lo capirà? Dentro di me, così come al di fuori, è Lui che sta giocando.

L’altro giorno Sudhir [Swami Suddhananda] chiese: “Così tante persone prendono l’iniziazione da voi, li ricordate tutti? Potreste riconoscerli?”. Io risposi: “No, non ricordo tutti”.

Che bisogno ho di ricordare quelli che hanno preso l’iniziazione, da dove vengano o che cosa facciano? Semplicemente ripeto il nome del Signore. Penso a Lui, non so nient'altro e, riguardo l’iniziazione, è Lui che è responsabile del portare qui la gente ed è sempre Lui che, seduto all'interno, li benedice.

Altrimenti, perché verrebbero così tante persone se fossero attratte solo da me? È Lui che ha preso questo corpo e sta giocando il Suo gioco. Io sono [stato] benedetto. Chiunque venga qui, lo dedico ai Suoi piedi di loto e dico: “Oh Signore, qui c’è la tua gente, prendili!”. Così come le persone adorano i piedi del Signore con molti tipi di fiori e frutti, allo stesso modo io offro diversi tipi di uomini ai Suoi piedi. Vedo con piacere che Lui accetta tutti e prende le loro responsabilità. E’ Lui il responsabile del loro bene e del loro male; ma tutti ricevono comunque i miei migliori auguri per tutto il tempo, in ogni momento penso al loro benessere e prego per loro».

Brano tratto da: Swami Shivananda, Per i cercatori di Dio, Edizioni I Pitagorici, in pubblicazione.

Mahapurushji Maharaj [Swami Shivananda] visitò Dacca all’inizio del 1922. Mentre stava in quel monastero, una sera partecipò al Gauravasa, l’assemblea dei devoti, su loro sincera richiesta.

Quando si diffuse la notizia della sua presenza in molti, uomini e donne, monaci e novizi, si riunirono per incontrarlo. In accordo con la pratica dell'assemblea, per prima cosa un devoto cantò un canto religioso che cominciava con le parole: “Perdi te stessa, o nera ape della mia mente, ai piedi di loto di Sri Ramakrishna”. Successivamente doveva essere letto il Kathamrita [il Vangelo di Sri Ramakrishna] che i devoti, ansiosi di ascoltare Mahapurushji, volevano omettere, ma Mahapurushji insistette che venisse letto il Kathamrita e così la lettura cominciò.

Ad un certo punto, riguardo le strette regole della vita da monaco, il Maestro disse: «Per un monaco è assolutamente necessario rinunciare a guadagno e passione, non dovrebbe nemmeno guardare l’immagine di una donna».

In questo contesto, un novizio chiese a Mahapurushji: «Maharaj, il Maestro disse che un uomo santo non dovrebbe neppure guardare l’immagine di una donna, mentre noi dobbiamo parlare con loro per i vari doveri che intraprendiamo. Come possiamo cavarcela in tali circostanze?».

Mahapurushji rimase in silenzio per qualche istante e quindi disse: «Figlio mio, non hai vissuto a casa tua con tua madre e le tue sorelle? Quando devi parlare con le donne riguardo a qualche tuo compito, devi avere la stessa mente sincera e lo stesso atteggiamento fanciullesco che avevi a casa con le donne della tua famiglia.

Mantieni nella tua mente l’idea che loro sono le tue madri e sorelle, ma non c’è neppure bisogno di dire che, se non sorge una particolare necessità, sia meglio evitare la conversazione con le donne, anche se sono devote ed in particolare quando sei solo.

Puoi parlare in pubblico delle cose veramente necessarie . Stai per abbracciare la vita monastica; pertanto dovresti sempre mantenere i tuoi voti intatti e il tuo Ideale davanti a te ogni volta che fai un passo in una qualsiasi direzione.

Dovresti guardare tutte le donne come le vere manifestazioni della Madre dell’universo, questa è la disciplina spirituale per te».

Il novizio: «Ma anche così, cosa dobbiamo fare se la mente viene presa da idee degradanti?».

In risposta a questo, Mahapurushji rispose con tono abbastanza severo: «Le persone nel cui cuore si agita la passione ogni volta che lo sguardo si posa su una donna, non solo non sono adatte ad essere monaci, ma non sono nemmeno adatte a vivere nella società umana. Il rimedio è quello di ritirarsi in un posto solitario completamente privo di donne, dove non possano nemmeno vederle.

Dovrebbero tornare nella società solo dopo aver sradicato completamente queste inclinazioni bestiali attraverso dure pratiche spirituali. Anche la società ha le sue regole e la sua disciplina».

Brano tratto da: Swami Shivananda, Per i cercatori di Dio, Edizioni I Pitagorici, in pubblicazione.

La vita è una immensa e inesauribile corrente di forza, coscienza e gioia. Ogni essere vivente ne è un parte integrale.

Il microcosmo, l’essere individuale e il macrocosmo, l’Essere Universale, hanno la stessa struttura e sono in contatto dinamico l’uno con l’altro.

Il nutrimento per una buona salute, la forza per lavorare, la conoscenza per la mente e la felicità dell’anima, tutto questo si trova nella corrente della Vita Universale.

Il carattere di una persona è la somma totale delle buone e cattive tendenze (i samskara) prodotte dalle sue esperienze passate, e la natura e la direzione del suo comportamento, dipendono dal modo in cui le buone e le cattive tendenze reagiscono tra loro.

Se le buone predisposizioni predominano, le nostre azioni saranno buone, morali e spirituail e se anche quelle cattive vincono per un po’, le buone tendenze, in ragione della loro potenza, vinceranno, ci rimetteremo sulla buona strada e ci condurranno sul cammino della virtù.

La Gita dichiara: “Dalla stessa sua pratica passata l’uomo è spinto a progredire nonostante i suoi limiti”, anche se ciò si riconduce allo sforzo applicato durante una vita precedente, questo vale ugualmente nella nostra vita attuale.

“Io sono il silenzio dei segreti, io sono la saggezza dei saggi” dice il Signore nella Bhagavad Gita. Il silenzio, questo grande potere invisibile, questo miracolo della vita, agisce sulla nostra persona con un strano contrasto.

Talvolta, ci grava con la sua calma opprimente, poi scende suoi nostri cuori, come un rovescio rinfrescante in un giorno soffocante d’estate. Quante volte ha agito come un tonico, rinvigorente e vivificante sulla nostra mente torpida.