Sri Ramakrishna e San Francesco d'Assisi
V - San Francesco e l'Oriente
Lo spirito di San Francesco tendeva all'Oriente. Egli vi si sentiva istintivamente attratto. Il fatto era dovuto, probabilmente, a delle influenze anteriori. Suo padre, un mercanto di stoffe, si recava ogni anno presso le grandi Fiere francesi per vendere ed acquistare. Queste ultime erano frequentate da altri ricchi mercanti del vicino e lontano Oriente. Era possibile che Francesco, quando accompagnava il padre, potesse averli visti; oppure, che il genitore riferisse su di loro dei fatti edificanti, che potevano avere stimolato l'immaginazione del giovane.
Bisogna anche dire che questa tendenza verso l'Oriente era effettivamente diffusa all'epoca e che Francesco, più in là con gli anni, avrebbe potuto venirne coinvolto. Paul Sabatier afferma - nel suo libro "La Vita di San Francesco" - che ogni spirito colto del periodo a cui ci riferiamo si volgeva verso l'Oriente per rigenerare le proprie ispirazioni e rintracciarne delle nuove. Le cosiddette innumerevoli eresie che sorsero nella Chiesa del XIII secolo presero nascita quasi tutte a causa del pensiero orientale. Ciò sollecitò una rimarchevole remora nell'Ordine di San Francesco. Furono numerosi i confratelli che si videro condannati a delle carcerazioni severe, a causa della loro tendenza eretica, e Giovanni di Parma, proprio a causa della sua sincera ammirazione per gli insegnamenti stranieri, venne destituito dal suo grado di Ministro Generale. Altri insinuarono che lo stesso Francesco ne fosse influenzato; ma, lui, si interessava troppo poco alle dottrine, ai teologi, ed era troppo autonomo concettualmente, per lasciare che il suo pensiero si rivolgesse a idee che provenissero dall'estero. Egli riceveva la propria ispirazione direttamente dalla Sorgente Divina.
L'istigatore dell'eresia era Gioacchino da Fiore, un veggente calabrese, che avrebbe potuto incarnare molto bene un mistico orientale di qualche eremo dell'Himalaya. Profondamente francescano, insisteva proprio su quello che Francesco avrebbe insegnato più tardi: distacco dal sapere, assoluta povertà ed amore per la Natura. Si racconta, inoltre, a suo proposito, che un giorno, mentre stava predicando in una cappella, tutto si oscurò, per il passaggio di una grossa nuvola. All'improvviso, questa si aprì ed un sole abbagliante la traforò. La cappella venne inondata di luce. Gioacchino si fermò di colpo, salutò il sole con le mani giunte, intonò un salmo e congedò tutti, affichè potessero gioire del paesaggio splendente .
San Francesco, con tutto il suo fervore religioso, restava un cavaliere entusiasta della novità e dei sacrifici. Non solo l'Oriente lo attirava, ma lo tentava. Sognava di convertire i Saracini alla fede in Cristo. Nell'autunno del 1212 si diresse in Siria; però, appena subì un naufragio, se ne tornò in Italia, senza aver terminato la sua missione. Indomabile, cercò di raggiungerli in Marocco ed in Egitto. Ecco il brano di una lettera di un signore francese che lo incontrò, durante un viaggio:" Vi comunico che Monsignor Réyner, priore dell'Ordine di St. Michel, è entrato a fare parte dell'Ordine dei Frati Minori, che, ovunque, si accresce rapidamente, poichè segue la Chiesa primitiva ed imita la vita degli Apostoli in tutto e per tutto. Il capo di questa confraternita si chiama Fratel Francesco. E' così magnetico che tutti lo venerano... Essendo rimasto con lui diversi giorni, lo vidi annunciare il Verbo ai Saracini, ma con poco successo. Il Sultano, allora, gli chiese in segreto di pregare Dio affinchè gli fosse rivelato, attraverso qualche miracolo, quale fosse la migliore religione."
Il Sultano non si convertì, perchè Francesco non aveva la propensione ai miracoli; e colse l'occasione, una volta, di esprimere il desiderio di non doverne mai realizzare. D'altra parte, non possedeva l'abitudine di insistere nello sforzo di convertire qualcuno." Voglio essere pieno di rispetto di fronte a tutti e convertire con l'esempio piuttosto che con le parole", diceva. Molte altre missioni vennero progettate - delle quali, alcune si realizzarono; ma non si trova alcun accenno storico a proposito dell'India. Non si sa se Francesco avesse mai pensato di andare così lontano. Certi biografi affermano che qualche "eresia" dell'epoca attingeva direttamente al Buddismo. Ecco la natura delle istruzioni che San Francesco dava ai Frati che l'accompagnavano, quando si mettevano in cammino per una crociata di predicazione. Esse avrebbero potuto adattarsi , altrettanto bene, al Signore Budda, mentre le proponeva ai suoi discepoli:" Procedete, camminate due a due, umili ed amorevoli, taciturni, pregando Dio in fondo al vostro cuore, evitando con cura ogni parola inutile. Meditate, durante questo viaggio, come se vi trovaste nello stesso eremo, o nella vostra cella; poichè, ovunque noi stiamo, o andiamo, la nostra cella è con noi. Essa è nostro Fratel corpo, e l'anima è l'eremo che l'abita, per pregare Dio, e meditare."
La meditazione rappresentava una pratica costante, da parte di San Francesco. Malgrado l'attività incessante che praticava, la sua vita era intensamente soggettiva. E questo fatto gli conferisce la sua natura orientale e sembra apparentarlo così bene ai grandi Istruttori dell'India; specialmente a Sri Ramakrishna. Egli era capace di lavorare manualmente, di lavare le piaghe purulenti sulle membra doloranti dei lebbrosi, di pregare e di convertire gli uomini, di percorrere le grandi strade d'Italia, e, ciò malgrado, di trovare anche delle ore adatte a pregare ed a meditare. E se quelle del giorno non erano sufficienti, le derubava alla notte. Quando gli si offriva una sosta nella predicazione, nel servizio, o nel lavoro, andava a nascondersi, solo, in un lontano eremo, per trascorrervi giorno e notte in comunione con l'Altissimo.
A tempi della Confraternita primitiva, tutto questo era una realtà. La meditazione e la preghiera ne costituivano il fondamento del'esistenza. La scelta della povertà non rappresentava tanto un atto di rinuncia, quanto il modo di liberarsi d'ogni attrattiva delle cose materiali, e potersi, così, meglio donare a Dio. Francesco era costretto a sorvegliare di continuo i Frati, affinchè non si disperdessero nel trascendente, con il risultato di negligere i loro doveri verso il mondo, poichè avrebbero digiunato, o meditato troppo a lungo. Rufino doveva venire richiamato dal suo nascondiglio nella foresta per andare a lavare i lebbrosi. Era necessario scuotere dall'estasi Egidio e Bernardo. Frate Egidio provvedeva ai suoi magri bisogni accomodando le scarpe, benchè avesse il dono dell'estasi (parola italiana, che sta per samadhi, o coscienza dell'aldilà). Egli poteva entrare nella visione estatica in qualunque istante; e gli era necessario, allora, appoggiarsi ad un albero, o altrove, per non cadere a terra. Un giorno, egli, riferendosi alle delizie sperimentate durante la meditazione, esclamò:" La contemplazione è fuoco, unzione, sapore, riposo, gloria. Desidererei morire mentre sto in contemplazione!" In quell'occasione, un Frate cercò di interrogarlo per venire a conoscenza di cosa provasse e vedesse mentre aveva raggiunto la super coscienza. Invariabilmente, lui rispondeva:" Ciò che tu vedi, vedi, e ciò che tu senti, senti." Una risposta che ci ricorda quella data da Ramakrishna, in un'occasione simile:" Se qualcheduno vi interrogasse sul gusto del burro cosa mai rispondereste? Che è quello del burro."
Anche Frate Bernardo possedeva il dono della visione sovrannaturale. Un aneddoto del suo tempo riferisce che una volta, assistendo ad una messa, era talmente assorbito in sè, che rimase immobile, con lo sguardo fisso, dal mattino al vespro (15 ore), insensibile a ciò che lo circondava. Quando tornò in lui, gridò:" O, Fratelli mie! Fratelli Miei! Fratelli miei! Non esiste un solo uomo sulla terra, per quanto grande sia, che non vorrebbe trascinare un sacco di letame, in cambio di un sì grande tesoro!" E la storia aggiunge:" Perchè il suo spirito era talmente distaccato dalle cose della terra, che, simile ad una rondine, egli dispiegava le sue ali negli immensi spazi della contemplazione; tanto che, a volte, rimaneva in solitudine per trenta giorni, sulle più alte vette dei monti, nella sua visione delle cose celesti."
Lo stesso Francesco trascorreva delle lunghe ore in estasi, e anche molti altri Frati possedevano il dono della super coscienza. Le loro vite erano talmente distaccate dagli affari del mondo, così interamente votate a Dio, che non risultava difficile ad essi di entrare in comunione con il Signore. Una descrizione, risalente a quell'epoca, dipinge la loro maniera di vivere. " Ardevano nella preghiera e nel lavorare manualmente, nella volontà di scacciare l'indolenza. Si alzavano di notte e pregavano con fervore, sospirando e piangendo. S'amavano di un amore sincero e si rendevano mutuo servizio. Se uno di loro offriva del pane al suo fratello, compiva questo atto come una madre verso l'adorato figlio. Un tale amore ardeva in essi, che sembrava loro cosa semplice rinunciare ai loro corpi, sino alla morte, non soltanto per amore di Cristo, quanto per la salvezza delle anime, o dei corpi dei loro fratelli. Tanto si trovavano ancorati nell'umiltà e nella carità, che ognuno rispettava l'altro come se fosse stato il proprio padre e signore. E, riguardo a coloro che avevano il rango di prelati, oppure differenti gradi superiori, parevano ancor più umili degli altri. Sospinti continuamente all'obbedienza, in ogni situazione, si sottomettevano alla volontà di colui che li comandava, non creando il minimo problema tra ciò che poteva essere giusto, oppure no; poichè, quanto percepivano come un ordine, veniva considerata la volontà di Dio; e fare la Sua volontà era, per loro, una cosa agevole, gradevole ed amorevole...
"Nessuno di loro conservava qualcosa per se stesso. I libri, ed ogni altro oggetto che essi potevano ricevere, restava a disposizione di tutti, secondo la regola praticata e trasmessa dagli Apostoli. Tra di loro veniva osservata l'autentica povertà, e la generosità verso tutto ciò che il Signore accordava; che, quindi, veniva donato, con grazia, a coloro che lo desideravano. Lungo le strade, quando incontravano della povera gente che mendicava in Nome di Dio, se non possedevano null'altro, essi donavano loro una parte dei propri vestiti, per quanto usati e precari fossero. A volte, staccavano dall'abito il cappuccio, o, anche, una manica, o qualsiasi altro pezzo d'abito...."
"Nella loro povertà apparivano sempre gioiosi, poichè non desideravano alcuna ricchezza, e disprezzavano le cose del mondo; quelle che appaiono così care alla mondanità. Soprattutto il denaro, che era polvere, ai loro occhi, e buono solo ad essere calpestato sotto i piedi. Erano felici, sempre e solo, nel Signore, non esistendo nulla che potesse rattristarli. Più stavano lontani dal mondo, e più si sentivano vicini a Dio, mentre camminavano nei sentieri della Sua giustizia."
San Francesco non prese in prestito nulla dall'Oriente, visto che non ne era influenzato. Era orientale per sua natura, perchè, al contrario, non avrebbe potuto avere la profonda comprensione della Vita cristica e dell'Ideale cristiano, in quanto Gesù proveniva dal Medio-Oriente. Di conseguenza, si mostrava tipicamente italiano ed Occidentale. Era una cosa e l'altra, come Ramakrishna. Per la loro natura e per il loro pensiero, i due rasentano i quattro punti cardinali e, addirittura, li superano. Sri Ramakrishna dichiarò, più di una volta, che vedeva giungere a sè devoti da molti paesi e da molti popoli, attraverso mari e continenti. San Francesco disse un giorno ad un confratello:" Contemplo una moltitudine venire a me, e domandarmi di potere indossare l'abito della nostra santa religione. Il rumore dei loro passi risuona nel mio udito, e li vedo giungere da ogni dove, affollando le strade del mondo". Nè Sri Ramakrishna, nè San Francesco limitarono i loro sforzi, tesi ad amare l'umanità. Per essi non esisteva frontiera tra un gruppo umano e l'altro. Sono venuti per ogni uomo; la loro, era una visione universale.