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Ramakrishna

Sri Ramakrishna e San Francesco d'Assisi

III - Divergenze e punti comuni

I Salvatori dell'uomo, che giungono sulla terra per un' ineluttabile legge, si ripetono, recando il medesimo messaggio sull'essenzialità delle cose: che l'ultima Verità non cambia. Ognuno di essi nasce per sostenere il bisogno di una determinata epoca e di un dato popolo. Al fine di riuscire a stabilire un punto di contatto, essi debbono adattare la loro Manifestazione alle tradizioni, alla cultura ed agli ideali della gente di quel tempo. E'soltanto nelle espressioni minori del loro carattere e della loro vita, come pure su certi punti dottrinali, che noi scopriamo certe divergenze tra Shri Ramakrishna e San Francesco di Assisi.

Il peccato era una di queste divergenze. Sri Ramakrishna non poteva sentirne pronunciare la parola. Assicurava che quando si tacciava l'uomo dall'essere peccatore, costui lo diveniva veramente. Un giorno, richiuse la bibbia e si rifiutò di continuare a leggerla, perchè essa parlava continuamente del peccato. Per lui, gli uomini erano tutti virtualmente perfetti; erano "i figli dell'immortale Felicità". Per contro, San Francesco credeva fermamente nel peccato. Lo prova il suo profondo sentimento per la Passione di Cristo. La Redenzione diviene necessaria solo quando l'individuo è cosciente di aver peccato. San Francesco non firmò mai con il suo nome, senza aggiungervi accanto "T": la parola "peccatore". Di conseguenza, pregava sempre, riferendosi al peccato ed al pentimento. S' infliggeva le più rigorose penitenze; e pare abbia detto ad un Confratello, con enfasi tutta italiana:" Perchè mai ostenti la pena e la tristezza dei tuoi peccati? Abbandona la tua tristezza, posta tra Dio e te, e pregaLo affinchè la grazia ti risparmi e restituisca alla tua anima tutta la gioia della quale è stata privata, a causa del tuo errore."

Proprio come la realtà del peccato, anche il Diavolo era altrettanto vero per San Francesco. A lui ed ai suoi demoni, egli dedicava feroci battaglie. La notte in cui ricevette le stigmate, sulle mani e sui piedi, da Cristo, lottò contro un essere demoniaco, sino quasi a venirne sconfitto. Il fatto ricorda il combattimento di Budda contro Mara e l'agonia di Gesù nell'orto degli ulivi. San Francesco si era ritirato nel luogo più alto dell'eremitaggio della Verna; egli si sottopose ad un digiuno di quaranta giorni, ed in ognuna di queste notti lottava contro le forze delle tenebre. Nel suo bruciante fervore per Gesù, pregò di poter venire crocefisso con Lui: e la sua preghiera venne esaudita. All'alba, finalmente, apparve un Essere celeste che gli donò le stigmate.

Anche Sri Ramakrishna non negava l'esistenza delle creature demoniache, simili a quelle che assalirono San Francesco durante le notti del Monte della Verna. Tuttavia, affermava che il reale pericolo dell'uomo risiede nel suo ego, nel suo senso dell'"io" e del "mio". Qui, esisteva il vero diavolo che intrappola l'uomo nella sua vanità, nel suo orgoglio, nel suo desiderio di sapere. Un giorno, Sri Ramakrishna ingiunse ad uno dei suoi discepoli di andare a gettare tutti i suoi libri nel Gange, poichè si era accorto che il giovane stava sovrapponendo lo studio alla preghiera. Malgrado ciò, egli non era rigorista. Piuttsto, si mostrava indulgente nel suo modo di educare i discepoli. Per esempio, era capace di svegliarli nel bel mezzo della notte, e di farli accomodare sulla loro stuoia per un meditazione... Però, quando essi l'avevano finita, accadeva che dicesse loro:" Se solo compirete la sesta parte di quanto ho fatto io, raggiungerete lo scopo."

San Francesco era rude nella disciplina. Sottometteva i suoi discepoli alle più severe prove di obbedienza, di umiltà e di povertà. Frate Ruffino apparteneva ad una delle più nobili famiglie di Assisi quando entrò nell'Ordine. Era molto sensibile al ridicolo e, in fondo a se stesso, lottava contro l'orgoglio. San Francesco lo sapeva. Per cui, un giorno gli ingiunse di togliersi l'abito e, vestito delle sole mutande, di percorrere le strade di Assisi, di recarsi ad una data chiesa e, dall'alto del pulpito, di cominciare a pregare. E Frate Ruffino eseguì, senza punto battere le ciglia.

Ma, appena questi si fu allontanato, Francesco si pentì amaramente della decisione che aveva preso. E, subito, si strappò via, a sua volta, gli abiti e, in mutande, lo seguì nella strada. Il fedele Fratel Leone seguiva tutti e due con i loro rispettivi vestiti sul braccio. Francesco trovò Frate Ruffino che faceva dei vani sforzi, dal pulpito, per predicare alla folla; la quale, invece, lo prendeva in giro. Allora, Francescò salì anch'egli sul pulpito, mentre i motteggiamenti aumentavano. E cominciò a parlare. Lo charme che accompagnava le sue parole si estese sulla gente, le risate diminuirono e sopravvenne un profondo silenzio. Quando essi lasciarono la chiesa, rivestiti da Frate Leone, una moltitudine di persone li seguì. Il potere della parola di San Francesco aveva trasformato i loro umori.

In realtà, Francesco aveva un cuore di madre. Era più incline a perdonare, che a rimproverare, o a dare una qualunque punizione Se, tuttavia, giungeva a farlo ne assumeva su di lui una più grande. Tommaso da Celano, scrivano ed erudito eminente - il quale era entrato nell'Ordine al tempo di San Francesco - parla di lui in questi termini:" Il Beato Francesco possedeva una nobiltà di cuore squisita, ed era pieno di tatto. Dava a tutti quanto era dovuto ad ognuno, con grande accuratezza; considerando, saggiamente, e secondo il caso, il grado d'ogni qualità individuale."

Ecco l'estratto di una lettera che Francesco indirizzò ad un Confratello, attraverso la quale si rivela la sua propria natura: "Abbi cura di te come se fosse un comandamento di Dio e mio. Ama coloro che ti si oppongono, quand'anche giungessero a malmenarti..."

Sri Ramakrishna, al pari di San Francesco, portava un amore profondo all'Uomo ed alla Natura. Ognuno dei due vibrava con la pulsione vitale in ogni essere ed in ogni evoluzione, sentendola propria. Sri Ramakrishna avrebbe sicuramente emesso un gemito se avesse visto una rude mano strappare, in modo impietoso, un ramo d'albero, o maltrattare duramente un tenero bimbo. San Francesco, dal canto suo, predicava agli uccelli con il medesimo ardore che avrebbe usato in una chiesa piena di gente. E, quando lo faceva, essi volteggiavano attorno a lui, sfiorando il suo capo, le sue spalle e le sue mani. Un giorno, mentre predicava all'aperto, gli uccelli erano tanto numerosi e cinguettavano così forte che tutti si lamentavano di non potere ascoltare la voce del santo. E Francesco, indirizzandosi alle creature alate, disse loro:" Ora, tocca a me parlare, mie sorelline e fratellini; fate attenzione alle parole di Dio, tacete gentilmente e statevene tranquilli sino a che non avrò finito." Si tramanda che essi gli dettero ascolto e che smisero di cinguettare sino a che egli non ebbe terminato di predicare.

Un giorno, una gatta con i suoi piccoli s'andò a rifugiare nella camera di Sri Ramakrishna, nel tempio-giardino di Dakshineswar, sistemandosi ai piedi del suo letto. Sri Ramakrishna li ospitò per qualche giorno; poi, temendo che la gatta non disponesse di cibo appropriato, chiese ad un discepolo, padre di famiglia, di prendersene cura. Ogni volta che rivedeva quel discepolo, si premurava di domandargli notizie degli animali e del come stessero, aggiungendo:" Ricordatevi che si sono rifugiati da me. Dovete prenderne cura come lo fareste con me medesimo."

Nulla esisteva in natura a cui Sri Ramakrishna e San Francesco non fossero legati. San Francesco chiamava suoi fratelli e sorelle - rivolgendosi ad essi come tali - l'aria, il fuoco, l'acqua, gli alberi, le piante, la luna, le stelle, i lupi, le bestie selvagge. Si rivolgeva spesso a "Fratel Fuoco" - che considerava sacro, al punto che, quando, un giorno, il suo abito si incendiò, egli esitò a spegnerne le fiamme per paura di offendere il suo proprio fratello. Scrisse quel "Cantico a Frate Sole", che i discepoli gli recitarono sino al termine dei suoi giorni. E fu in prossimita' del termine della sua vita che egli aggiunse due versi alla "Sorella Morte"

Le meraviglie e la munificenza del creato erano le sole ricchezze di Sri Ramakrishna e di San Francesco. Per loro, il denaro rappresentava un ostacolo alla via dell'evoluzione. Arretravano, addirittura, per non toccarlo. Un discepolo di Ramakrishna raccontava che se si accostava una moneta al corpo del maestro, anche quando costui si trovava in sonno profonfo, egli si raggrinziva tutto. Un giorno, mentre il Maestro passeggiava nel giardino del tempio, vide un mango particolarmente bello e desiderò portarlo in camera sua, per mangiarlo più tardi; ma, la sua mano si rifiutò di coglierlo...per la ragione che la propria natura rifiutava ogni idea di fare provviste. Un'altra volta, un agiato commerciante gli offrì una grossa somma di denaro, contenuta nella federa di un guanciale. " A cosa mi serve?" -domandò Ramakrishna; e, educatamente, pregò il commerciante di darlo a qualcun'altro.

La povertà era la nota dominante nella vita di San Francesco. Quando Bernardo ed un altro Confratello si unirono a lui, essi sentirono la necessità di seguire una Regola. Si recarono, allora, nella Chiesa di S. Nicola per assistere alla messa. Poi, aprirono la Bibbia. Per tre volte di seguito, questa si spalancò sul punto che conteneva i seguenti passi:"... Se vuoi essere perfetto, va e vendi tutto ciò che possiedi, e il guadagno donalo ai poveri... E Gesù li inviò a predicare il Regno di Dio ed a guarire i malati. Disse loro:" Non portate nulla con voi, nè cibo, nè scritti, nè pane, nè denaro, nè vestiti di ricambio."" E questa divenne la Regola fondamentale dell'Ordine; seguita alla lettera, nei primi tempi della Confraternita.

Delle tradizioni che risalgono a quel periodo ci narrano come due Frati, inviati da San Francesco, andarono a predicare a Firenze. Raggiunsero la città, mentre infuriava un vento glaciale, senza nulla con cui coprirsi, nè in cui trovare rifugio conveniente - se non una veranda, allo scoperto. Ma, il freddo era così intenso che essi non potettero dormire. Si ripararono, allora, in una chiesa e passarono la notte in preghiera. Un signore li trovò lì , al mattino e - notando il loro aspetto smunto - offrì loro del denaro. "Sembrate poveri" - egli esclamò - " e rifiutate i soldi?"." Noi siamo poveri per nostra propria scelta" - replicò uno dei due." Avevamo del denaro, ma l'abbiamo distribuito". Questo, era lo spirito di San Francesco, e, indubbiamente, quello di Sri Ramakrishna. Per essi, la povertà era un onore, e, a loro volta, la onoravano.