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Ramakrishna

Una volta in una tana sotto un grande albero viveva un cobra. L'albero era presso l'angolo di un campo vicino al villaggio.
Tutti gli abitanti del villaggio erano terrorizzati dal cobra. Era molto cattivo. Se qualcuno si avvicinava al suo albero, il cobra sgusciava fuori dalla tana e lo mordeva. Molta gente era morta in questo modo, perché il cobra era molto velenoso.

I ragazzi del villaggio dovevano passare vicino al campo ogni mattina per portare le loro mucche nella giungla. Seguivano sempre il sentiero e non si avvicinavano mai all'albero del cobra.
Anche alla sera, i ragazzi si affrettavano ad attraversare il campo, avendo gran cura di stare lontani dal percorso del cobra.
Una sera un giovane monaco arrivò al villaggio. I pastori lo videro entrare nel tempio.
La mattina seguente lo videro ancora. Stavano conducendo le loro mucche verso la giungla, quando il monaco si avvicinò e camminò con loro.

 

"Namaste Jì", salutarono educatamente i ragazzi.
Il monaco li salutò a sua volta e così camminarono insieme. Quando raggiunsero il campo dove viveva il cobra, il monaco si fermò e si guardò intorno. Osservò l'albero nell'angolo. "Quello è un bell'albero", disse. "Andrò là e mi siederò sotto di esso per un po'. Voglio meditare".
I ragazzi erano allarmati.
"No, no, Signore", gridarono. "Non vi avvicinate a quell'albero!".
"Perché no?", chiese il monaco. "Cosa c'è che non va?"
"Voi siete nuovo del villaggio", replicarono i ragazzi, "così non lo sapete. Un terribile serpente vive sotto quell'albero. E' un cobra selvaggio. E' sempre arrabbiato. Morde la gente, che poi muore".
"Non mi morderà", disse il monaco.
I ragazzi erano sorpresi.
"Perché no?", chiesero. "Come potete sapere che non vi morderà? E' un serpente molto cattivo".
"Non mi morderà", disse nuovamente il monaco. "Io conosco alcuni mantra, sapete. Io gli ripeterò un mantra, e quando lo udirà diventerà quieto e gentile. Potete venire con me se lo desiderate, vi farò vedere".
Ma i ragazzi avevano paura. Non si azzardavano ad avvicinarsi all'albero. Dissero: "Dobbiamo badare alle mucche e portarle nella giungla".
Così i ragazzi andarono per la loro strada, e il monaco si diresse verso l'albero all'angolo del campo.
Quando il monaco si avvicinò all'albero, il cobra scattò fuori della sua tana. Il monaco rimase immobile. Il cobra si sollevò. Sibilò, arrabbiato. Era pronto a morderlo.
In quel momento egli recitò un mantra.
Immediatamente il cobra abbassò il capo. Giacque calmo al suolo, innocuo come un lombrico.
"Sono venuto per meditare sotto questo albero", disse il monaco al cobra. "Non disturbarmi".
"Molto bene, Signore", replicò il cobra.
Il monaco sedette sotto l'albero. Egli recitò svariati mantra, con una voce ricca, musicale e profonda. Poi diventò silenzioso, entrando in profonda meditazione.
Passarono alcune ore mentre il monaco meditava. Poi aprì gli occhi, e la prima cosa che vide fu il cobra, ancora accoccolato presso di lui.
"Così sei ancora qui", disse il monaco con voce gentile.
"Sì Signore", rispose umilmente il cobra.
"I ragazzi mi hanno detto che hai colpito molte persone", disse il monaco. "Il tuo morso è velenoso. Quando tu mordi una persona, quella muore. Non lo sapevi?"
"Si, Signore, lo sapevo", disse il cobra.
"E allora?", replicò il monaco. "Non ti sembra che sia una cosa molto sbagliata?"
"Si, Signore", disse il cobra. "Spesso ho desiderato di controllare il mio cattivo carattere, ma non so come fare".
"Se tu vuoi veramente una cosa", replicò il monaco, "certamente la otterrai. Forse non ti sei impegnato abbastanza".
"Vi prego, insegnatemi a diventare buono, Signore", balbettò il cobra.
"Ti insegnerò un mantra", disse il monaco. "Se la ripeterai incessantemente, giorno dopo giorno, imparerai ad amare ed essere buono".
Così il monaco insegnò al cobra un mantra e gli dette il nome 'Nagaraj'.
"Ora ti devo lasciare", disse il monaco. "Ricordati, Nagaraj, ripeti il mantra e non ferire nessuno".
"Sì, Signore", promise il cobra. "Lo ricorderò".
Mentre il monaco si allontanava dall'albero, si voltò ancora una volta e guardò il serpente.
"Lascerò il villaggio domani", disse, "ma tornerò a vederti fra un anno".
Quella sera i ragazzi si affrettarono a raggiungere il villaggio, perché erano ansiosi di sapere se il cobra avesse morso il monaco. Quando lo incontrarono, gli chiesero cosa fosse successo quella mattina.
"Non mi ha colpito", disse. "Non morderè più nessuno, ora. E' diventato un buon cobra".
All'inizio i ragazzi non riuscivano a credere che il cobra non avrebbe più morso. Ma il tempo passava, e molti si accorsero che il cobra era diventato piuttosto mite. Gradualmente la gente del villaggio smise di aver paura di lui. Non aveva più morso nessuno.
I pastori spesso vedevano il cobra quando attraversavano il campo nel loro percorso verso la giungla con le loro mucche. Ogni volta che lo vedevano, gli tiravano delle pietre. Il cobra non li notava nemmeno. Solo le sue labbra si muovevano come se stesse mormorando qualcosa. Qualche volta una pietra colpiva il suo dorso facendolo sanguinare, ma il cobra non si arrabbiava.
Una sera i ragazzi stavano tirando le pietre al cobra, come il solito. Improvvisamente un ragazzo diventò molto temerario. Prese il cobra per la coda e lo fece mulinare più e più volte. Gli altri ragazzi ridevano e lo incitavano.
Poi improvvisamente il ragazzo lasciò la coda del cobra, che planò e cadde al suolo. Batté la testa contro una pietra. Giacque così, continuando a sanguinare.
"Hurrà", urlarono i ragazzi, tutti insieme, mentre si precipitavano a casa. "Quel dannato cobra è morto, alla fine!"
Ma Nagaraj non era morto. A tarda notte, quando si sentì un po' meglio, strisciò lentamente e dolorosamente nella sua tana sotto l'albero.
Doveva nascondersi nella sua tana. Era troppo debole per muoversi. Non aveva nulla da mangiare e diventava sempre più debole.
Tuttavia continuava a ripetere il mantra che il monaco gli aveva dato. Gradualmente la sua ferita guarì e fu di nuovo in grado di uscire.
Ma ora usciva solo di notte quando non c'era nessuno in giro. Rapidamente mangiava qualche foglia o un piccolo frutto che trovava per terra e poi si affrettava a tornare nella sua tana.
L'anno seguente il monaco tornò al villaggio.
Gli dissero: "Il cobra cattivo è morto!"
"Oh, è morto?", rispose il monaco.
Ma egli sapeva che Nagaraj non era morto. Gli aveva dato un mantra, e il mantra aveva prodotto i suoi frutti.
Il monaco andò presso l'albero e si fermò davanti alla tana del cobra.
"Nagaraj, oh Nagaraj", chiamò il monaco, "sono tornato".
Nagaraj uscì lentamente dalla sua tana e si inchinò al suo maestro.
"Come stai?", chiese il monaco.
"Sto abbastanza bene, signore", rispose Nagaraj.
"Ma perché sei così magro?", chiese il monaco.
"Signore", disse il monaco, "ora mangio solo foglie e frutti. Voi mi diceste di non mordere nessuno, così non prendo più uccelli e topi, come ero solito fare. Ecco perché sono così magro".
"Ma sembri anche malato", proseguì il monaco. "Ti deve essere successo qualcosa. Qualcuno ti ha ferito?".
Ripetendo la parola sacra, la mente del cobra si era purificata. Si era dimenticato che cosa gli avevano fatto i pastori. Cercava di ricordarsi cosa gli fosse successo.
"Ah sì, Signore", disse. "Ora ricordo. Sono stati i pastori. Spesso mi tiravano delle pietre. Un giorno mi presero per la coda e mi fecero girare. Quando caddi, sbattei la testa contro una pietra. Ci mancò poco che morissi".
"Come hai potuto lasciare che i pastori ti fecero questo?", esclamò il monaco.
"Ah, Signore, i ragazzi sono ragazzi", replicò Nagaraj." Non ci si può arrabbiare con loro. Come potevano sapere che ero cambiato? Non potevano certo sapere che volevo solo essere buono e non avevo intenzione di colpirli".
"Oh, ma che stupido sei!", esclamò il monaco. "Perché non sibili alla gente? Ti devi proteggere da loro. Sibilare non fa male. Non colpire, ma soffia. Spaventa i cattivi in modo che non ti facciano del male".
"Oh", replicò Nagaraj, "adesso mi rendo conto dell'errore che ho fatto. Sì, sibilerò ai ragazzi che certamente fuggiranno. Non ci avevo pensato".
Da quel giorno in poi Nagaraj visse felice nella sua tana sotto l'albero. Non morse nessuno, e continuò a ripetere il mantra che il suo maestro gli aveva insegnato.
Ma se qualcuno cercava di colpirlo, Nagaraj sibilando lo spaventava e lo faceva scappare.

*(formula di saluto per una persona di riguardo)