Nell’estate 2006, ci sono stati diversi incontri fra gli Swami del Ramakrishna Math e alcuni praticanti italiani del Vedanta che hanno partecipato alle festività di Krishna e ad un seminario presso il Centre Vedantique Ramakrishna a Gretz e ad un incontro ad Assisi, verso la fine di Agosto. Non tutti quelli che avrebbero voluto partecipare, sono riusciti ad esserci. Queste righe sono state sollecitate da chi è potuto essere presente solo col cuore. (L'articolo è uscito sul Quaderno Advaita & Vedanta n. 14, Download articolo formattato e in PDF.
Per l’aspirante che cerchi un ritiro consono al percorso interiore secondo la propria via, scelta nell’ambito dell’approccio alla tradizione metafisica, ci sono diversi centri spirituali (monasteri o ashram) in cui è possibile essere ospitati per praticare la propria disciplina.
Alcuni sono più accessibili di altri, con regole più o meno strette, con connotazioni più o meno orientali. Altri centri sono molto lontani, alcuni veramente inaccessibili o l’accesso è limitato a chi ha istanze definitive.
Esistono centri dove si offrono lunghi ritiri e dove si svolgono diverse pratiche ed esercizi spirituali organizzati, esistono centri dove si va per praticare la conoscenza di sé stessi, in altri si va per condividere. In quasi tutti viene richiesta almeno una minima partecipazione alle attività comuni.
Il Centre Vedantique Ramakrishna, sede del Ramakrishna Mission e degli Swami del Ramakrishna Math in Francia, è poco fuori Parigi, a trenta, quaranta minuti di metropolitana, partendo dalla fermata Magenta, che si trova dentro la stazione ferroviaria Gare du Nord di Parigi. È diretto da Swami Veetamohananda, già apprezzato presidente dell’Associazione Italiana Ramakrishna Math, oggi Ramakrishna Mission Italia e conosciuto per le conferenze e gli incontri che tiene da svariati anni in varie parti d’Europa. Il suo continuo viaggiare per favorire l’approfondimento della pratica del Vedanta, lo fa essere spesso assente, così nella gestione pratica e giornaliera del Centre è coadiuvato da Swami Devatmananda, un robusto e intenso lavoratore, di cui però occorre non sottovalutare le capacità interiori e intellettuali, e da Swami Gangananda, un simpatico e ieratico interlocutore, la cui padronanza dell’inglese lo rende una fonte di interessanti curiosità dottrinali, sapendo trovare la nota giusta per varcare quell’apparente cipiglio con cui accoglie i nuovi arrivati.
Swami Veetamohananda è originario dell’India e dopo non poche esperienze e responsabilità nelle varie missioi e centri dell’Ordine è stato scelto dalla Casa Madre del Ramakrishna Math a Belur per occupare il seggio vacante a Parigi, una delle sedi più importante fuori dall’India.
Swami Devatmananda è un europeo di origini tedesche che entrato nel 1973 nel Centre, è rimasto divenendo uno Swami, ordinato in India al Belur Math; uomo di poche parole pratica intensamente l’azione nel distacco dai frutti, ma quando si riesce a scucirgli qualche parola, si comprende facilmente perché nel Vedanta la distinzione fra karma, bhakti e jnana marga non viene marcata: egli è un esempio di come vadano praticate insieme. Swami Gangananda è invece un’isola rocciosa che può essere scalata con la pazienza e la conoscenza dell’inglese. Fino a qualche anno fa, il Centre ospitava anche un anziano monaco di nazionalità americana, Swami Vidyatmananda, la cui voce, insieme profonda e dolce, era spesso il primo contatto con il Centre, quando si telefonava dall’estero. È una figura che dispiace non aver avuto il tempo per conoscerla meglio.
Questa melange etnico, unito alle influenze internazionali degli ospiti, ha effetti intensamente gradevoli che influenzano l’ambiente, i visitatori e l’aria stessa che si respira nel Centre ricorda quelli dei college inglesi negli anni settanta, quando gli studenti europei che volevano praticare la lingua inglese si ritrovavano nei campus britannici con la scusa dei corsi estivi.
Per chi non c’è abituato, per chi non è un globetrotter, un albergatore, un marinaio o uno stewart, è strano sedere in una sala per la colazione e sentir chiedere la marmellata in oltre sei sette lingue, con le parole che sfrecciano da tutte le parti e, anche se si cerca di afferrarle tutte, ce ne è sempre qualcuna che scappa via e con dispiacere la vedi prendere la porta o la finestra per perdersi fra gli alberi del parco; anche se vorresti seguirla, ti rendi conto che perderai le prossime e forse allora si capirà se chi siede al tavolo è fiammingo o tedesco e se lo Swami sta parlando hindi, bengali o telegu.
Il momento dei pasti è il più caratteristico e nonostante ci sia un certo silenzio, non è un silenzio pesante, anzi... scorre con leggerezza fra le parole che sussurrate circolano con sussiego, mentre ci scopre uniti non dalle credenze ma dalla stessa dura pratica dell’autoconoscenza, svolta da ognuno secondo il proprio culto e la propria indole.
La cucina è abbastanza occidentalizzata per non dire globale, ma se si è sfortunati si può essere ospiti del Centre quando è in visita qualche anziano Swami indiano a cui per rispetto si offre il cibo natio… allora sono guai per chi ha stomaco e digestione sensibili! In questi casi si giunge a sospettare che non sia il rispetto per il suo palato, la vera ragione di quelle spezie, quanto il voler affermare che il Centre sia decisamente e comunque pronto ad ospitare lo stesso Ramakrishna nel caso dovesse mai reincarnarsi per visitarlo.
Questa estate, il Centre ha ospitato il seminario tenuto da Swami Prabhananda, responsabile dell’Istituto di Cultura del Ramakrishna Math di Calcutta, in occasione delle Festività di Krishna. Solo la simpatia e il fare arguto di questo simpatico ultrasettantenne hanno stemperato il gusto del cibo cucinato in suo onore: era indiano, molto indiano… ben oltre quello che si cucina nel Centro Vedanta Vidya del Ramakrishna Mission di Piacenza. Alcuni membri di questo centro erano presenti e, infatti, sono stati estasiati dai pasti! Comunque, se non volete sembrare eccessivi, informandovi in anticipo se durante il vostro soggiorno sono previsti altri Swami in visita oltre ai residenti, per chi volesse, Gretz offre comodi supermercati, nonché pizzerie o panifici che possono sostenere le italiche genti non disposte a soccombere alle diete indiane. In ogni caso si avvisi la cucina se intendete latitare ai pasti indiani e, ovviamente, non è ammesso cibo non vegetariano entro il Centre. Pertanto chi non riesce a rinunciare ai panini al prosciutto è bene che li consumi fuori.
Durante il seminario, Swami Prabhananda ha usato come esempio il campionato mondiale di calcio, per indicare la capacità dell’uomo di sviluppare il proprio potenziale, diventando un campione come Zinedine Zidane. L’atmosfera era molto intensa, la soddisfazione transalpina si tagliava a fette, quasi da potersi vendere un tanto al chilo. In quella sacralità, una voce compunta e rispettosa - ma forse qualcuno vi aprà trovato un vago sentore di italica perfidia - ha chiesto allo Swami, se, per caso, in India, forse e senza impegno, avessero mai udito nominare un certo Materazzi.
Uno strano brusio si è sentito in sala: pare che la maggioranza francofona non avesse in simpatia il nobile giocatore italico. In seguito Olivier, il secondo motorino del Centre (il primato spetta di diritto a Swami Devatmananda) ha comunicato che recenti disposizioni del Centre proibivano il salmodiare ogni mantra o japa contenente la parola Materazzi, pare che abbia dei forti contenuti di tamas e pronunciarla al Centre determina prolungamenti al samsara (continuo divenire) personale, con forti penalizzazioni sulla sadhana (disciplina personale), diminuzione del prana, chiusura dei chakra eventualmente aperti, nonché strani srotolamenti della kundalini, oltre che ovviamente un’immediata espulsione dal Vedanta francese. Data l’eccezionalità dell’evento e avendo il malcapitato dichiarato che era stato un caso fortuito, si stava schiarendo la bocca e il colpo era partito da solo e che in ogni caso era profondamente mortificato e pentito, la persona in questione se l’è cavata con la corvee di cucina ai bicchieri per quattro giorni... a quanto pare anche il tifo è vedantino!
Swami Prabhananda ha fatto dei diversi interventi sulle pratiche del Vedanta, mostrando come esso sia un percorso di autoconoscenza, slegato da ogni confessione e da ogni culto, finalizzato al Bene.
Si è notata forte la nota che lo lega ai primi Swami dell’Ordine; sarà l’età, sarà la capacità che ha di rendere chiari i suoi ricordi… è uno studioso della vita di Ramakrishna che ha molto presente e sulla punta delle dita; è stato anche simpatico sentirlo narrare i suoi incontri con Ghandi, di quando lo ha conosciuto, dei suoi Maestri. Più che un anziano e autorevole Swami dell’ordine di Shankara, sembrava un ragazzino curioso e attivo, estremamente arguto e capace, anche se ha scritto diversi libri, non è la persona che ti aspetti pensando alla sua levatura... è più curioso lui di te, del mondo intorno a te, di come vivi il Vedanta. Non sappiamo come siano tutti gli Swami del Ramakrishna Math, ma quelli con cui siamo venuti in contatto in questi anni di servizio, hanno rettificato l’idea che si aveva degli indiani in genere... speriamo che pure noi si sia riusciti a rettificare l’idea che si ha degli italiani in genere...
L’atmosfera del Centre era rilassata e rilassante; anche se in qualche momento ha piovuto, e non c’era il caldo che ci si aspettava, è stata piacevole sia la permanenza all’interno che il passeggiare fra i prati, avendo cura di evitare gli escrementi delle mucche e anche il filo elettrico a bassa intensità che circonda le zone dove pascolano e contro cui si finisce abitualmente, quando ci si allena in tecniche di levitazione: la scarica ricevuta è molto propedeutica ad un balzo illuminante verso l’alto.
Le tante nazionalità presenti, sparpagliate fra tutte le fasce di età, sono state molto stimolanti; nessuno che sfoggiava illuminazioni varie, nessuno che saccentemente cercava di insegnare le proprie opinioni… era come se tutti fossero consapevoli di cosa fosse il cammino e che quello era un momento di festa, di comunione, di serenità. C’erano aspiranti single, aspiranti in coppia e aspiranti con prole... Certo i bambini non partecipavano alle sessioni di meditazione o ad alcune cerimonie, ma i genitori si alternavano nella loro custodia e a turno partecipavano entrambi.
Ospite nella sezione maschile per gli ospiti, diverse sere ci si è addormentati ascoltando le fiabe in spagnolo che, dall’altra parte del muro, un papà raccontava alla propria figlioletta per avviarla ad un sonno sereno. Il Centre è costituito da diversi edifici: quello centrale, che gli italiani chiamano la Villa, ricorda i casini di caccia del Nord Italia, ma con il classico tetto in stile francese, metà ottocento, coi i vari abbaini. È molto grande, nel basamento ci sono le dispense e la cantina, insieme alla grande lavanderia; a tutta questa sezione si accede dalla cucina sul piano terra rialzato che comprende, oltre alla cucina stessa, una sala di ingresso con le vetrine dei libri e degli incensi in vendita, un corridoio centrale che attraversa la sala di ingresso e a sinistra porta alla cucina e alla sala da pranzo e a destra alla cappella, ad uno studiolo e alla sala degli incontri serali. Attraversandolo, dalla sala di ingresso si entra in una saletta che, posta fra quella degli incontri (piena di sedie e con uno stereo) e quella da pranzo, viene usata per i pasti quando si è in tanti, per mettere le cuccume del té e del caffé - ottimo quello di cicoria - e negli altri momenti come sala della pulizia delle verdure - che gli ospiti nettano come contributo per i vari pasti. Andando nel corridoio, verso destra si arriva alla cappella (che in caso di folla si amplia con la saletta degli incontri. La cappella va vista, non descritta, quindi lasciamola nel suo silenzio, solcato da qualche Om che mostrandosi quale efficace simbolo, anche se solo per qualche momento, lentamente vi sprofonda riassorbito quale pura essenza.
Di fronte alla cappella, c’è la saletta dove Krishna e Shiva, forgiati in metallo, si contendono lo spazio e la scala che porta alle ritirate degli ospiti e alla vasta biblioteca, usata anche per le conferenze, quando non si è veramente in tanti. Al primo piano c’è la segreteria, gli uffici, i computer, mentre sopra ancora ci sono le stanze dove dormono alcuni dei residenti e qualche ospite.
Fuori, nel parco, alla destra della Villa, c’è un casotto indipendente, monopiano, dall’esterno sembra più un magazzino, dove fanno gli incontri quando si è così tanti che la biblioteca non basta. Lì si è tenuto il seminario nella giornata di domenica, ma anche un piccola rappresentazione musicale con gli stessi canti devozionali, su basi musicali occidentali e moderne, che si erano tenuti qualche mese fa al Ramakrishna Mission di Piacenza.
Alla sinistra della Villa c’è l’edificio che ospitava un tempo le rimesse e le depandance e che oggi ospitano le residenze per i gruppi familiari e per gli uomini, oltre che una bellissima saletta per la musica, in tanti anni sempre senza nessuno che la usi. Le stanze sono ognuna con un piccolo lavabo e con doccia e ritirata in comune ogni due, tre stanze.
Dietro la Villa, in fondo al pascolo delle mucche e prima delle stalle, ma dopo l’orto, lungo un vialetto costeggiato da enormi alberi secolari c’è l’edificio riservato alle donne.
Essendo Agosto, il Centre era affollato, e qualcuno dei residenti confessava di aver ceduto la stanza e di arrangiarsi col sacco a pelo per offrire a quante più persone possibile l’opportunitù di condividere le festività con gli Swami. Effettivamente c’erano parecchi praticanti francesi membri del Centre, alcuni molto anziani; è stata l’occasione di poter stare per un certo periodo insieme agli Swami, cosa difficile negli altri periodi dell’anno.
Per alcuni è stata un’esperienza molto intensa, un’occasione di approfondimento della conoscenza di sé, sia per l’ambiente raccolto, con pochi stimoli, sia per la sacralità di certi momenti, di certe cerimonie e, per qualcuno, di certi incontri.
Se però aspettate di trovarvi in un paradiso pieno di santi, non è il posto dove andare! Non è un posto dove ci si atteggia, le persone vivono la loro normalità serenamente. Non è una chiesa, non è un paradiso: è un centro di pratica vedanta e lo si vede un po’ ovunque. Le persone sono né più né meno come tutti noi. Ricorda i primi Centri Sai degli anni settanta, quando c’era il fermento dei tanti diversi cammini di indirizzo spirituale che sembravano aver trovato la casa comune. Anche se la maggioranza sembrava cattolica, erano presenti altre confessioni cristiane, ma c’era anche qualche praticante buddhista. Deve essere molto bello anche quando ospitano i monaci cristiani che vengono a tenere le conferenze nel Centre. Swami Veetamohananda a tratti ci ha raccontato il viaggio che ha fatto in India, guidando un gruppo di monaci e monache cattoliche nei luoghi più sacri dell’Induismo.
In occasione della festività di Sri Krishna, ci sono state delle cerimonie particolari per alcuni giorni, molto intensa è stata la lettura dei capitoli della Bhagavadgita per un giorno intero, in una gradevolissimo incrociarsi e sovrapporsi di più lingue. Nella sala di meditazione fra un canto e un altro, fra l’offerta della luce spirituale (la fiamma del fuoco) e l’offerta della luce materiale (i fiori), le parole delle varie lingue si sono incrociate l’un l’altra, a costruire la volta di una cupola in una casa comune, un unico tempio fra le diverse religioni, etnie e culture che ivi si sono trovate riunite a commemorare insieme la figura prediletta del culto Vaishnava con quella di Sri Ramakrishna, padre spirituale di questi monaci che con tanta cordialità e ecumenismo ci hanno accolto.
È stato il momento in cui più si è sentita l’India e il suo sanathana dharma, unico popolo al mondo ad avere mille culti, ma a considerarlo uno e per questo spinto monoteismo venir considerato politeista, unica nazione al mondo ad aver conquistato la libertà attraverso la pratica della non violenza... si era nel caratteristico tempio indiano, dove i diversi culti alle diverse divinità vengono celebrati contemporaneamente, dove i diversi officianti fanno anche la fila per celebrare il proprio rito nel sancta sanctorum, dove Abele è raro che rischi la pelle e dove il proselitismo è così innaturale che sconvolge quando lo si vede praticare: l’Unicità del Divino viene negata da chi affermi che una maniera per adorarlo sia migliore di un’altra e per questo da preferire...
Ha ricordato un altro incontro del Ramakrishna Math tenutosi a Caltavuturo, qualche mese fa, ospitato dalle suore del Santa Maria Ausiliatrice, quando nella chiesa appena restaurata in cima al paese, è stato concelebrato un incontro ecumenico sul Cuore, leggendo i testi sacri dei principali dell’Oriente e dell’Occidente.
Al Centre Vedantique Ramakrishna, il giorno inizia con la sveglia che suona in tempo per partecipare alla meditazione delle sei e trenta. È ancor buio, quando si raggiunge la Villa attraverso il parco. Chi è abituato alle cerimonie nei templi indiani, forse sentirà la mancanza di quegli odori e colori che tanto caratterizzano le albe indiane nei dintorni dei templi, specie se lontani dalle città e accanto alle foreste… manca il profumo dei fiori appena raccolti, manca il profumo che sale dalle ceste che le ragazze hanno accanto, per terra, sedute in circolo ad infilare ghirlande. Manca la compostezza delle donne già sposate, così silenziose, quanto le giovinette chiacchiericce, tutte tese e intente a raccogliere i gelsomini più belli e più profumati, le più diligenti scartano i fiori già sbocciati, per non offrire al Divino, un fiore già gustato da altri, anche se solo per un istante una farfalla o un’ape li avrà solo sfiorati. Mancano quelle anziane donne, piegate in due dalla vecchiaia e dalla vita che con una scopetta di cannicce senza manico, spazzano la soglia di casa per poi disegnarla con variopinte trame colorate ad attirare il Divino dandogli un festoso benvenuto. Tutte queste cose non ci sono. Però, in compenso, ci può essere l’odore dei croissant che arriva dai forni non lontani del villaggio e, se non siete mai stati al limitare delle foreste indiane, non sentirete grandi mancanze, suppliscono abbastanza gli alberi secolari e l’erba umida sotto i piedi.
Dopo la prima meditazione, la giornata è organizzata in modo da scorrere tranquillamente. Fra i pasti, le meditazioni, gli incontri e le pause, rimane poco tempo per socializzare, tranne nei momenti di lavoro comune; per i più dediti all’introspezione, la sala di meditazione e la biblioteca sono aperte nelle diverse ore al giorno, oltre alla possibilità di ritirarsi nella propria stanza o di meditare camminando o nei vari punti del parco, dove si trovano delle strategiche panchine.
Partire per andare via è un po’ morire, specialmente se si pensa a cosa si va incontro, al rumore, alla tensione, agli scontri, ai media e al traffico che irrompono con violenza nella vita quotidiana, per non parlare di chi invece torna a situazioni più o meno disagiate.
Vivere là è decisamente un’altra dimensione, non necessariamente profonda o definitiva come certi ashram dediti all’anacoresi, ma comunque interiorizzante e che indirizza direttamente al centro, anche se non si è pronti alla vita monastica o eremitica. È un approccio accessibile ai capifamiglia e ai laici, permette un avvicinamento graduale al Vedanta, come strumento di supporto e di ausilio nella pratica quotidiana del vivere, una preparazione a pratiche più intense che non necessariamente dovranno verificarsi, ma di cui è opportuno sapere l’esistenza e averne ricevuto almeno i semi, senza fanatismi e senza settarismi. Altrimenti non sarebbe Vedanta!
Dopo nemmeno una settimana dai giorni di Gretz, il Ramakrishna Mission ha organizzato la visita di Swami Prabhananda a Roma ed Assisi, con un incontro ad Assisi. È stato bello, da italiani, sentirsi spiegare da un monaco indù le parti più belle della basilica di San Pietro, specialmente se si considera che usava i ricordi di un altro monaco, discepolo di Ramakrishna e di Vivekananda, che lì entrò in samadhi ricordando una vita precedente come seguace del Cristo, davanti alle ossa di San Pietro, ascoltando i canti gregoriani quasi cent’anni fa. Così come non si può nemmeno descrivere l’intenso raccoglimento e il rispetto che ha mostrato davanti al mahasamadhi di Giovanni Paolo Secondo. L’impressione dei fedeli presenti, non è stata da meno, al vedere questa tonaca arancione a spasso per le catacombe papali o entro le corti con il naso all’insù, la guida acustica all’orecchio, pronto a richiarmarti se, secondo lui, non avevi prestato la dovuta attenzione che meritava quel determinato punto e momento del percorso.
L’incontro di Assisi è stato intenso, basato sul dialogo diretto a cui inizialmente ha partecipato anche Swami Ishtananda, un monaco di origine indiana che appartiene alla Vedanta Society del Ramakrishna Math a San Diego, in California. Egli ha risposto a diverse domande, illustrando come viene praticato il Vedanta negli Stati Uniti e le eventuali differenze con l’Europa. Ha delucidato alcuni aspetti di un sutra del Vivekacudamani relativamente alla necessità e profondità del distacco. Erano presenti persone provenienti dalle diverse province d’Italia, ma la cosa più bella è stata la presenza di praticanti di diverse scuole e di diversi Maestri. Erano in molti coloro con cui ci si incontrava oper la prima volta. Swami Veetamohananda stimolava al dialogo gli altri due Swami, sembrava molto provato dal tour di viaggi appena compiuti, così il suo contributo è stato iniziale quando ci ha introdotto all’universalità del Vedanta, a come non si contrapponga ad alcun culto, a come nel continente indiano sia praticato trasversalmente da tutti culti, a come non sia un culto, ma un sostegno di tolleranza, miglioramento e amore per ogni culto. Swami Prabhananda ha portato la sua testimonianza sulla visita appena fatta ad Assisi, come fosse felice della devozione mostrata nei luoghi di culto e di come fosse soddisfatto di avere finalmente visto Assisi; i monaci del suo Ordine sono molto legati alla figura di San Francesco ed era molto curioso di vedere cosa era rimasto tanti anni dopo il suo mahasamadhi: era entusiasta. Ha narrato come durante questo suo breve viaggio in Italia fosse stato colpito da un monaco insieme indù e cattolico che ha tradotto alcune upanishad, e da un filosofo advaitin di cui non immaginava né l’esistenza, né la grandezza, né la dedizione con cui ha passato l’intera vita al servizio della tradizione di Shankara, traducendo e commentando le sue opere. Ha continuato affermando che non immaginava che in Italia il Vedanta avesse simili prezione risorse e ha sottolineato come fosse molto impressionato da tutto ciò.
Siamo stati molto colpiti dalla tolleranza e dall’ospitalià mostrataci dai padri francescani, Fratel Fausto in special modo che, per un nostra mancanza organizzativa, si è trovato un gruppetto di persone, alcune con tonache arancio nel bel mezzo di raduno vocazionale di adolescenti. Aspettava sì dei monaci indiani, ma ci si era dimenticati di dirgli che l’incontro interconfessionale non era solo fra cristiani! Molto francescanamente si è messo nei panni di tutti quanti erano arrivati da tutt’Italia, per non dire degli Swami arrivati dall’estero e ha messo a disposizione una bella sala: una bella applicazione dei più alti ideali del Cristo e di San Francesco, proprio ad Assisi.
La serata si è conclusa con tutti i rimasti in pizzeria, dove abbiamo offerto agli Swami una cena a base di spaghetti e gelato. Si è continuato il dialogo e loro hanno narrato come si entra nel loro ordine, con almeno nove anni di apprendistato, di come nella tradizione originale di Shankara sia un solo discepolo a ricevere l’iniziazione e il nome dal Maestro, mentre in quella del Ramakrishna Math è il Presidente a Belur a iniziare tutti i nuovi monaci, su proposta della commissione di controllo dell’Ordine.
Hanno spiegato la differenza fra Math e Mission (del primo fanno parte solo i monaci, mentre nel secondo operano ufficialmente anche i laici).
Fra Parigi e Assisi, nell’insieme si è discusso a lungo dell’operatività del Ramakrishna Math in Italia, attraverso la trasformazione dell’Associazione in Ramakrishna Mission Italia. Non c’erano tutti, alcuni sono sembrati mancare, ma sono stati immaginati in sala, con noi, perché in fondo, come ha detto lo Shankaracarya di Sringeri: “Basta che ce ne sia uno...”
Bodhananda