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Ramakrishna
Questo articolo fu scritto da Elva Nelson della Vedanta Society di Boston, Massachusetts. Questo testo fa parte di un lavoro più importante: Vivekananda dans la Nouvelle Angleterre.

Per molti giorni, prima del 25 luglio 1893, vi era stato un gran bel tempo a Vancouver, Canadà, quando finalmente l’Espresso dell’India gettò l’ancora nel porto. Una dolce serata di benvenuto accolse Swami Vivekananda, che indossava il suo abito di seta ocra, quando egli sbarcò dalla nave. Aveva sofferto il freddo nel Pacifico, durante la traversata dal Giappone al Canadà, in quanto né lui, né i suoi amici di Madras possedevano esperienze di viaggi lunghi, ed i suoi abiti non si addicevano, quindi, che al caldo clima dell’India.

 

Vancouver – all’epoca un centro commerciale con meno di sedicimila abitanti – era destinato a divenire il porto che si sarebbe sviluppato più velocemente, con l’attuale popolazione di quattrocentomila abitanti. Intraprendente, vibrante e vivo, questo mondo nuovo non è adatto per gli indivudi flemmatici. A quel tempo, i fittavoli della rada popolazione della Colombia britannica si lamentavano per gli animali selvatici, e si potevano incontrare dei ricercatori d’oro al lavoro nel vicino fiume Salmon. Vi era ai suoi bordi l’ oscura e grande foresta, ed una catena montuosa. E qui si trovava il capolinea della Northern Pacific Railroad, che doveva condurre Vivekananda a Chicago, nell’Esposizione Universale della Colombia ed al Parlamento delle Religioni. Giungendo da un paese dall’antica civiltà come l’India e sbarcando in questa località selvaggia e rude, cosa mai avrà potuto provare Vivekananda !

 

Probabilmente, un vero piacere. Aveva, difatti, in passato ha scritto delle lettere entusiaste a degli amici e discepoli di Madras sulle sue visite in Cina ed in Giappone. Apprezzava il senso artistico dei Giapponesi ed i progressi che faceva questo paese : "Venite, siate uomini !" - scrisse, mentre stava visitando Yokohama – " Uscite dalle vostre tane ristrette e guardate verso l’estero. Osservate come le nazioni stanno marciando ! "

 

Quando il treno di Vivekananda entrò a Chicago era di sera. L’abbagliante veduta dell’esposizione della Colombia non poteva sfuggire al suo sguardo. Tuttavia, il giovane Swami ebbe delle difficoltà. Il suo strano bagaglio, i suoi abiti inusuali, la sua mancanza di esperienza sulla valuta, ed il fatto di essere solo, in un paese straniero, avrebbero potuto abbattere un uomo di capacità poco robuste. Qualcuno – forse un agente per alberghi – lo condusse in uno dei migliori hotels di Chicago.

 

Egli scrisse ad Alasinga : " Sono rimasto circa dodici giorni a Chicago, e quasi ogni dì mi recavo alla Fiera. E’ una cosa formidabile. ". E lo era veramente. Fu descritta effettivamente come la realtà più bella che fosse mai stata messa in piedi nell’emisfero occidentale. Per realizzarla furono trasformati settecento acri di vegetazione acquitrinosa, accanto alle rive del lago, in una zona che avrebbe permesso la costruzione di più di sessanta edifici. La realizzazione del progetto era di Frederick Law Olmsted, del Massachusetts.

 

Edgar Wagenkecht scrisse nel suo libro "Chicago" : " I due inverni preparatori (1891-1892 e 1892-1893) furono orribili sul fronte del lago. Settecento dei settemila operai impiegati caddero vittima di ferite e diciotto morirono. " Alcuni sostenevano che lo sforzo non avrebbe condotto ad alcuna soluzione per il 1893.

 

Ma venne portato a termine. Più di ventisette milioni e mezzo di persone visitarono la Fiera espositiva. I battelli e quanto li riguardava ebbero il loro enorme impatto. Lo splendore e l’attività dell’intero scenario possono a malapena venire immaginati. Magnificamente illuminati da stand brillanti, questi furono dei momenti incantevoli che rapirono l’attenzione di Swami Vivekananda. " Sono necessari almeno dieci gorni per vedere ogni cosa " - scriveva.

 

Con sua grande sorpresa, e contrariato, Swami Vivekananda scoprì l’alto costo della vita a Chicago e, cosa ancor più importante per lui, che il Parlamento delle Religioni, per il quale era lì venuto, non si sarebbe inaugurato prima della seconda settimana di settembre. Inoltre, situazione ancora peggiore, che era necessario la delega di un’organizzazione ; ora, lo Swami non l’aveva. Si chiese se non dovesse mai ritornarsene in India, ma ricevette un’ispirazione dell’alto, e decise di restare per vedere cosa sarebbe accaduto. Qualcuno lo informò che il costo della vita a Boston era meno caro e, poiché questa città era conosciuta come il centro della conoscenza, l’Ateneo dell’America, egli decise di recarvicisi.

 

Ma, perché Vivekananda era andato in America ?

 

Dalla fine degli anni 1880 e l’inizio del 1890, Vivekananda errò in india come sannyasin, un monaco privo di denaro, compiendo pellegrinaggi a dei santi luoghi e nei templi. Ovunque egli andasse, vedeva le condizioni dei suoi compatrioti.

 

" …il povero, il debole, il peccatore non hanno amici in India ; nessun aiuto ; non possono sollevarsi dalla loro condizione, neppure se ci provano. Vi ci si immergono sempre più ogni giorno... " - scriveva ad Alasinga, a Madras, nell’ultima parte dell’agosto 1893. " Hanno dimenticato di essere degli uomini. E ne risulta una schiavitù. Le persone riflessive si sono accorte del problema negli ultimi anni, ma sciaguratamente lo hanno collocato all’uscio della religione indù..Ascolta, ne ho scoperto il segreto, grazie al Signore. Non è colpa della religione…La vostra religione vi insegna che ogni essere rappresenta il vostro io moltiplicato. Si tratta della mancanza di applicazione pratica, della mancanza di compassione,della mancanza di cuore. "

 

Con queste poche frasi, Swami Vivekananda tracciò la condizione dell‘India materialmente e spiritualmente. Aveva dei problemi, prima di lasciare l’India. Perché andava in America ? Era per trovare una soluzione alla povertà dell’India, ottenendo l’aiuto dell ‘Occidente ? E come poteva sapere se l’avrebbe ottenuto? I bisogni dell’India erano grandi. Oppure, aveva un altro scopo : " Fare conoscere al mondo la gloria incomparabile dei Veda e del Vedanta " ?

 

Le due ragioni erano tracciate nella sua stessa natura. Prima della sua morte, Ramakrishna aveva compreso il ruolo che Vivekananda avrebbe incarnato nell’avvenire, come istruttore del mondo. " Una sera, mentre Narendra entrava nella camera del Maestro e si sedeva con i suoi gouroubhais (fratelli discepoli), il Maestro scrisse su di un foglio di carta : " Naren insegnerà agli altri ". Narendra replicò : " Non lo farò ". Il Maestro gli rispose : " Tu devi farlo. Le tue ossa medesime ti obbligheranno a farlo "

 

Ramakrishna sovente diceva : " Ho altri discepoli, lontano, che parlano una lingua che non conosco ". Ramakrishna, nel 1884, in estasi spirituale, esclamò : " La compassione per gli esseri viventi ! Imbecille !…Nessuna compassione per gli altri, ma servire tutte le creature : sono Dio. ". Narendra, sentendo queste parole, disse agli altri : " Quale luce sbalorditiva ho scoperto in queste meravigliose parole del Maestro…Se Dio lo vorrà… proclamerò questa grande verità al mondo intero. Ne farò una proprietà comune a tutti… "

 

Poco dopo la morte di Sri Ramakrishna, nell’agosto del 1886, Vivekananda si preparava – potremmo dire, inconsciamente – al lavoro che sarebbe stato il suo. Nel 1888, mentre era un monaco errante, studiò diverse Scritture indiane e scrisse molte lettere a Pramadadas Mitra, a Benares – un Hindù ortodosso, molto rispettato per la sua erudizione. Vivekananda lo interrogava su differenti punti relativi all’origine dei costumi sociali indiani ; poneva delle domande, come : " Perché mai i Shudras non debbono studiare le Upanishad ? ". Egli era al corrente di quanto succedeva in altre parti del mondo. : " Una sorta di advaita scientifica – scriveva – si è sparsa in Europa, da che hanno scoperto la conservazione dell’energia. ". L’informazione non era passata inosservata da Vivekananda.

 

Mentre stava studiando l’eredità culturale dell’India, egli scrisse ad un altro pandit, nel settembre del 1892 : " Lo spirito indiano fu sempre deduttivo, e mai sintetico, oppure induttivo. Troviamo sempre in ogni nostra filosofia degli argomenti che tagliano i capelli in quattro, e che considerano ogni argomentazione generale come facente parte a sé…Nessuno domanda mai, né cerca la verità in queste argomentazioni generali. Ecco perché ci ritroviamo con pochissimi concetti indipendenti, e di conseguenza siamo deboli proprio in quelle scienze che rappresentano il risultato dell’osservazione e della generalizzazione. ". Scriveva, più avanti, nella stessa lettera : " Di conseguenza, vedete, ci è necessario viaggiare ; dobbiamo recarci in paesi stranieri. Dobbiamo constatare come il motore della società agisce in altri paesi, e tenere libera ed aperta la comunicazione con quanto viene prodotto nell ospirito delle altre nazioni, se vogliamo veramente tornare ad essere noi stessi una nazione. ". Lo spirito di Vivekananda era preoccupato dalla valutazione delle necessità culturali e materiali dell’India. I suoi occhi erano aperti alla povertà, alla mancanza di istruzione ed alla debolezza che rende schiavi. E fu proprio quest’ultima che colpì la sua anima.

 

Durante un pellegrinaggio a Brindavan, mentre stava uscendo da una stazione vicina, il capo stazione gli si avvicinò. Aveva notato che lo Swami, solitario, sembrava affaticato. Fecero conoscenza ed egli invitò lo Swami a casa sua e gli offrì un pasto delizioso. Poi, di colpo, il capo stazione si sedette accanto allo Swami e disse : " Signore, insegnatemi la saggezza. ". Lo Swami rispose, citando un’opera letteraria : " Se volete possedere Vidya (la saggezza), coprite il vostro bel viso di cenere ; oppure, chiedemi il permesso di partire. ". Con stupore dello Swami, costui lo fece. Divenne un discepolo e partì, errando, con lui. Un giorno, colui che sarebbe divenuto Swami Sadananda, domandò a Swami Vivekananda : " Perché avete l’aria così triste ? ". Lo Swami, dopo una pausa, rispose : " Figlio mio, ho una grande missione da compiere e sono disperato a causa della piccolezza delle mie capacità. Ho ricevuto l’ingiunzione dal mio guru di eseguire questa missione. Niente di meno, si tratta della rigenerazione della mia nazione di nascita. La spiritualità è caduta ad un basso livello, e la carestia perseguita il paese. "

 

Nella " Vita di Swami Vivekananda " viene descritto così : " Ovunque egli andasse e ad ogni corso visitasse, i Pandit ed i Principi trovavano il lui lo stesso terribile ardore che lo spingeva a fare qualche cosa per il suo paese, in qualunque tempo e luogo fosse ! L’idea più alta nel suo spirito era la redenzione spirituale dell ‘India. Vedeva bene i limiti dell’ortodossia, come anche i gravi errori della riforma. Ovunque, incontrava delle meschine gelosie, dell’animosità e della mancanza di unità. " Come si poteva rimediare a ciò ?

 

Vivekananda scoprì il metodo, poco a poco. Durante i suoi viaggi erranti, incontrò dei funzionari europei che gli fecero comprendere la difficoltà esistente per lo spirito europeo di cogliere le sottigliezze e la complessità della filosofia indiana. Costoro, ascoltando lo Swami parlare tanto brillantemente di soggetti filosofici, suggerirono che sarebbe dovuto, forse, andare in Inghilterra e, lì, fare conoscere le sue idee. Egli ricevette un incoraggiamento supplementare dal pandit Pandurang, che gli disse : " Ho notato che in Occidente, le persone riflessive sono particolarmente ansiose di conoscere le nostre Scritture indù e la nostra metafisica. Se voi andaste in Occidente a interpretare la nostra tradizione vedantica, fareste una grande opera. E aggiunse anche, come si legge ne " La vita di Vivekananda " : " Voi dovete andare in Occidente, dove la gente vi comprenderà e riconoscerà il vostro valore. Potrete sicuramente proiettare una grande luce sulla cultura occidentale predicando il Sanatana Dharma. ". Lo Swami fu felice di ascoltare queste parole, poiché esse coincidevano con i suoi segreti pensieri, che, però, allora, erano assai vaghi… "

 

Forse, fu in una delle tre località ove si fermò, quando si trovava in pellegrinaggio, che Swami Vivekananda intese parlare per la prima volta della grande assemblea, il Parlamento delle Religioni, che si sarebbe tenuta a Chicago l’anno seguente, nel 1893. " Se qualcuno può aiutarmi per i soldi del viaggio, andrà tutto bene, e mi ci recherò ", disse.

 

Nell’ottobre del 1892, durante una visita ad Haridapa Mitra, Vivekananda ripetè la stessa cosa. G.S. Bhate racconta, nelle " Reminiscenze su Vivekananda ", di averlo avuto ospite in casa sua verso la fine del 1892 e del modo con cui egli affrontò l’argomento : " Il tempo è arrivato – disse - di predicare al mondo le verità incalcolabili contenute nel Vedanta - Il suo punto di vista sul Vedanta era, mi sembra, molto diverso da quello tradizionale…Si lamentava che il Vedanta fosse stato trattato come il possesso di una setta, piuttosto che la sorgente eterna dell’ispirazione universale ; come, in effetti, era.

 

Proseguendo i suoi pellegrinaggi nel sud dell’India (aveva osservato i costumi sociali e le pratiche religiose nelle diverse parti dell’India) egli raggiungeva il Capo Comorin, il punto più a sud dell’india, alla fine di dicembre 1892. Guardando in direzione dell’oceano, Vivekananda vide due rocche a circa trecento metri. Nuotò verso di esse, e vi meditò per tre giorni. Fu proprio qui che i fili del suo avvenire, che Ramakrishna gli aveva profetizzato, si annodarono, come lui scrisse più tardi al suo fratello discepolo, Ramakrichananda, nel 1894 : " Al capo Comorin…seduto sull’ultimo frammento di terra indiana, trovai un sistema : siamo tanti di quei numerosi sannyasin, che errano ovunque, insegnando la metafisica alla gente; non è che una follia. Il nostro gurudeva Ramakrisha non aveva l’abitudine di dire : " Uno stomaco vuot onon è fatto per la religione " ? ". Fu lì che gli venne rivelata la risposta ai problemi che turbavano l’India : doveva andarsene in Occidente. Queste rocce sono conosciute, adesso, come le rocce Vivekananda, ed un enorme memoriale dedicato a lui è stato eretto sulla più grande di esse.

 

Dopo aver lasciato quella località, le Swami marciò verso Pondichéry, mendicando il suo nutrimento. Mentre camminava lungo la spiaggia, incontrò un vecchio amico che gli chiese di venirsene con lui e di essere suo ospite a Madras. Quando giunse, seppe che la visita che aveva intenzione di fare era di già conosciuta e numerose persone, piene di promesse, erano arrivati per accoglierlo. La notizia che un dotto sannyasin che parlava l’inglese era giunto si sparse subit,o e molti giovani divennero dei suoi ammiratori. Ogni sera, giovani ed uomni più attempati venivano alla casa del suo ospite per incontrare lo Swami e per parlare con lui. Il suo potere di conversazione era meraviglioso. La discussione convergeva su una gran numero di soggetti : scienza, letteratura, psicologia, storia, religione e filosofia. La " Vita di Vivekananda " riferisce : " La personalità dello Swami dominava tutto. La sua voce musicale e commovente, i suoi canti, la forza della sua anima, il potere del suo intelletto, le sue luminose e pronte risposte, il suo spirito scintillante, i suoi epigrammi a la sua eloquenza, tutto ciò avvinceva gli ascoltatori nel suo charme. "

 

Per rilassarsi, egli camminava, di sera, lungo il mare. La " Vita " descrive un episodio : " Un giorno, quando vide i bambini, mezzi morti di fame, dei pescatori, che lavoravano con la loro madre, immersi nell’acqua sino alla cintola, le lagrime gli salirono agli occhi, e gridò : " Oh, Signore, perché mai hai creato questi sfortunati esseri ! Non ne posso sopportare la vista. Quanto tempo, Signore, quanto tempo ! " I presente ne furono stravolti e piansero.

 

Coloro che lo avevano ascoltato a Madras sapevano che era colui che sarebbe dovuto andare al Parlamento. Raccolsero dei fondi per la sottoscrizione. Ma, lo Swami donò la prima somma ricevuta ai poveri. Si trovarono ancora dei soldi e, quando egli ebbe una visione di Ramakrishna che gli chiedeva di traversare le acque, Vivekananda si sentì esaltato. Aveva in mente solo un’altra cosa : ottenere la benedizione di Sri Sarada Devi, la Santa Madre ; che gli venne data. Vivekananda partì per Bombay, con nave, il 31 maggio 1893, per recarsi in un mondo che a malapena avrebbe potuto immaginare. Anni di accanito lavoro lo attendevano. Non solo doveva cambiare il modo di pensare occidentale, per produrre una visione più profonda nelle religioni del mondo e quanto potesse divenire una terra d’intesa tra di esse, ma doveva anche introdurre un nuovo modello monastico in India ed un centro rinnovato sull’aspetto universale delle religioni ; ove ed in cui si sarebbe inserito l’essenziale della vita spirituale. Andava a stabilire le basi di una nuova tradizione, basata sulle Upanishad e gli insegnamenti di Ramakrishna. Aveva detto nel 1892 ad uno dei suoi fratelli discepoli : " Comincio ora a comprendere, sino ad un certo punto, quel che il Maestro diceva di me. In verità, esiste tanto potere in me ch’io sento che riuscirei a rivoluzionare il mondo. "

 

Aveva trent’anni, e non sarebbe vissuto sino a vedere il suo quarantesimo anniversario. Ma, Ramakrishna non aveva detto di lui : " Il mio eroe " ?